mercoledì 10 ottobre 2012

La profezia che si autoavvera: dall’ironia della legge di Murphy alle implicazioni secondo l’ottica ontopsicologica

Alzi la mano chi non ricorda la famosa legge di Murphy: “se qualcosa può andare male, stai sicuro che sarà così”. C’è tanto umorismo e ironia attorno a questa saga del pensiero murphologico che rende la cosa anche simpatica, ma ogni volta che la sentivo citare, in circostanze ad hoc, una parte di me ha sempre rabbrividito…tralasciando le “suggestioni” personali, rimango letteralmente allibita quando un giorno scopro su un testo di psicologia (inserito tra l’altro in un corso di medicina!) che è stato effettivamente descritto e codificato un fenomeno noto come “profezia che si autoavvera”. La psicologia riconosce l’esistenza di una distorsione del modo in cui percepiamo l’ambiente intorno a noi che è legata alle nostre aspettative, al punto che ci comportiamo in maniera tale da poter confermare le nostre previsioni. Il modo in cui percepiamo e interpretiamo il mondo può influenzare il modo in cui l’ambiente stesso opera, per cui il risultato è una previsione auto-confermata. Non so voi, ma io ho avuto un vero attimo di sbandamento: nero su bianco si legge che noi, con il nostro atteggiamento e modo di pensare, possiamo condizionare quello che accade, creando la realtà come ce la aspettiamo…e tutto si limita ad un paio di paginette striminzite, come se il fatto di non sapere come spiegare questa cosa la rendesse “secondaria” e trascurabile! Mi metto di nuovo a ricercare ed effettivamente non trovo molto di più su questo argomento, ma ho la conferma ulteriore che questo fenomeno è ben conosciuto in psicologia e, forse, dovrebbe essere più noto a tutti… Il concetto di profezia che si autoavvera è stato introdotto per la prima volta nelle scienze sociali nel 1948 da Robert Merton per descrivere “una supposizione o profezia che, per il solo fatto di essere stata pronunciata, fa realizzare l’avvenimento presunto, aspettato o predetto, confermando il tal modo la propria veridicità”. In sostanza, si tratta di un’opinione che, pur essendo originariamente falsa, per il fatto di essere creduta, conduce ad un comportamento che la fa avverare. Leggendo dalla Blackwell Encyclopedia of Social Psychology (1995), una profezia che si autoavvera si riconosce dal fatto che le credenze originariamente errate di alcune persone (per aspettative, stereotipi, pregiudizi) causano comportamenti che confermano effettivamente queste credenze. Nel 1974 il ricercatore Rosenthal ha messo in luce quello che poi è stato definito “l’effetto Pigmalione”: ad alcuni insegnanti di scuola elementare disse che il gruppo A di bambini aveva riportato punteggi più elevati ai test d’intelligenza rispetto al gruppo B. Dopo un anno scolastico, i bambini del gruppo A avevano effettivamente un rendimento migliore degli altri, nonostante Rosenthal avesse compiuto la distinzione fra i due gruppi in maniera del tutto casuale e senza neanche conoscere i risultati del test d’intelligenza! L’esperimento dimostra che gli insegnati assumono un atteggiamento, influenzato dalle loro aspettative, che condiziona l’esito finale in maniera da realizzare la previsione: stimolano di più quei ragazzi che credono essere i più intelligenti, gli danno più fiducia e più attenzioni a scapito degli altri che si convinceranno di essere “inferiori”. Questo meccanismo subdolo è riconosciuto come essere molto diffuso. Pensiamo al mercato finanziario: se esiste un’informazione diffusa di un crollo imminente (non importa se vera o falsa, basta che sia creduta!), gli investitori possono perdere fiducia, vendere così le proprie azioni e causare realmente il crollo. Ma basta anche semplicemente guardare alle relazioni interpersonali che ci toccano da vicino. A qualcuno può capitare di avere paura di risultare antipatico ma, contemporaneamente, senza neanche accorgersene, si comporta con chiusura e ostilità risultando realmente sgradevole. Risultato: “Ecco, lo sapevo, per l’ennesima volta sono riuscito a rovinare tutto e a risultare ancora antipatico!”. Per non parlare poi di chi pensa che, ad esempio, sia destinato ad essere abbandonato da tutti i partner…la paura genera comportamenti morbosi di gelosia , possessività e via dicendo che non possono che produrre l’esito “sperato”. Eh sì, perché alla fine ci facciamo forti del fatto che la nostra “visione” del mondo si conferma sempre corretta e che quindi abbiamo ragione! Poco male se questo genera sofferenza, angoscia e disperazione…in fondo, così è la vita…o no?? Insomma, la legge di Murphy sembra avere un serio fondamento scientifico? La risposta è sì, ma una spiegazione chiara e razionale di questa legge, in apparenza così ingenuamente ironica, può arrivare dall’Ontopsicologia. Perché? L’Ontopsicologia spiega che sin dalla primissima infanzia riceviamo delle informazioni sulle quali apprendiamo degli schemi di pensiero e quindi di comportamento (stereotipi). Di fatto, ripetiamo questi schemi incessantemente per tutta la vita senza neanche rendercene conto, come in una rappresentazione teatrale di cui siamo ormai degli insuperabili interpreti…ma siamo così calati nel personaggio da aver dimenticato che è solo una finzione e non la realtà! In sostanza, questo copione diventa così potente da diventare il “filtro” attraverso il quale selezioniamo e costruiamo la nostra realtà che, rispetto alla varietà del reale totale, si riduce sempre nelle stesse poche misere scene…in qualunque contesto arriviamo, in ambito personale o professionale, a casa propria o dall’altro capo del mondo, leggiamo le situazioni sempre attraverso lo stesso codice (attraverso il meccanismo di proiezione) e, anzi, siamo così scaltri da riconoscere immediatamente chi sono i soggetti più adatti e meglio predisposti per mettere in atto la solita sceneggiatura (selezione tematica complessuale). È così che possiamo passare una vita fra un partner e l’altro senza renderci conto che in sostanza Laura, Elisa, Anna, Bruna, etc. hanno sempre la stessa “conformazione”, non solo psicologica ma spesso addirittura fisica…oppure che il compagno di banco a scuola ricorda “vagamente” il collega di stanza di oggi, solo che da piccoli si “copiava” e si litigava per essere i primi della classe, oggi si compete per la “strategia più innovativa” che farà colpo sul direttore per essere riconosciuti come i “best performer”…ma la dinamica è sempre la stessa! L’Ontopsicologia è andata ancora oltre, spiegando la capacità dell’attività psichica inconscia di plasmare la realtà ed individuando, attraverso delle scoperte esclusive, cosa sono e come funzionano quelle informazioni che, una volta credute vere, si fanno costruttrici di realtà, cioè i cosiddetti memi. Rimando a testi specifici per gli approfondimenti del caso. Antonio Meneghetti e AAVV: Ontopsicologia e Memetica. Ontopsicologica Editrice, Roma 2003. Robert K Merton: “La profezia che si autoavvera” in Teoria e Struttura sociale, vol. II. Il Mulino, Bologna 1971.

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