In Ontopsicologia si apprende che quando la nostra vita
è sincrona al nostro In Sé ontico, uno degli effetti che “naturalmente” si
riscontrano è il raggiungimento di risultati in costante progress. Ciò che ci
anima da dentro, quindi, ha una costante sete di nuovi orizzonti e traguardi:
non è una frenesia, ma una ordinata costruzione che, mattone dopo mattone,
permette all’individuo di ampliare con coerenza e proporzione il proprio raggio di azione
storica e sociale.
Questo implica una grande responsabilità
da parte dell’operatore, soprattutto quando raggiunge una mèta: uno dei rischi
è infatti quello di fermarsi sull’obiettivo raggiunto pensando che, una volta
riempito il bicchiere, quel “pieno” sia comunque una conquista “per sempre” .
Invece è esattamente il contrario: l’In Sé ontico è motivato all’evoluzione per
cui, ai suoi occhi, la stasi e la non-evoluzione equivalgono a una regressione.
L’obiettivo che si raggiunge in un certo momento di vita non ha per il soggetto
la stessa valenza man mano che il tempo passa. Si tratta infatti di qualcosa
che progressivamente viene “metabolizzato” e che, quindi, chiede di essere
alimentato seguendo le nuove spinte dell’In Sé. Nel libro della pedagogia ontopsicologica, si può leggere che “ogni
tanto nella vita bisogna disfare tanta
strada precostituita come vantaggio ed
entrare in una novità di orizzonte, cioè il rischio è continuo, il gioco è
aperto, ma il guadagno è illimitato.” Per questo a volte ci sono delle scelte
da fare che hanno una pregnante urgenza: “o le attui e divieni, o non le attui
e sei normale numero”.
Si diviene come si sceglie. (Antonio Meneghetti)
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