mercoledì 10 ottobre 2012

La volontà individuale come porta d’ingresso all’attuazione del metodo: il fattore critico di successo

Quando in Ontopsicologia si parla di volontà in relazione alla malattia, possono facilmente nascere dei fraintendimenti: non è la volontà di guarire, di reagire o di voler essere positivi davanti alle avversità…tutto questo non serve, se non individuo ed elimino quell’errore tecnico che mi ha portato alla malattia. Pensiamo ad esempio a quando impariamo uno sport o una disciplina tecnico-artistica: per tutti può arrivare quel momento in cui qualcuno ci fa notare che abbiamo quel “difetto” o “vizio” tecnico ormai diventato abitudine. Che quando montiamo a cavallo abbiamo quel piede sinistro troppo in avanti e non ci permette il giusto contatto con l’animale, oppure che quando suoniamo il pianoforte c’è il polso che in un certo tipo di passaggi perde la posizione corretta e ostacola la fluidità musicale…non ce ne accorgiamo, ma abbiamo assunto degli atteggiamenti che ci inducono a fare sempre lo stesso errore e quindi a non essere efficienti come potremmo. Tutto per un vizio tecnico. Bene, il nostro trainer, maestro, istruttore, ce lo fa notare: ci spiega dove commettiamo l’errore, ci sensibilizza e ci responsabilizza. Da quel momento, siamo noi che dobbiamo scegliere di fare diversamente ogni volta che affrontiamo quel certo passaggio dove puntualmente cadiamo e sbagliamo. Quante volte sembra addirittura impossibile? “Non ci riesco!”, “Ma come faccio? A me viene automatico così…”. Ecco, non è vero. O meglio, è vero che dobbiamo lavorare un po’ per correggere e smantellare quel vizio oramai acquisito, perché si deve superare la pigrizia di cambiare un movimento, un gesto che ormai a noi non “costa fatica” perché va da sé! Infatti, c’è anche un ulteriore fattore da considerare: quando prendiamo un “vizio” che ormai è abitudine, succede che nel nostro organismo si attivano tutta una serie di meccanismi di adattamento volti a compensare le conseguenze di quell’errore. Per esempio, nell’equitazione succede che un piede fuori posto altera tutto l’intero assetto, cioè la posizione della gamba, del bacino, delle spalle, etc. Possiamo imparare a gestire perfettamente un assetto non corretto, ma quando arriva il momento in cui ci viene chiesto di fare di più o qualcosa di nuovo, la magagna esce fuori…Cioè, per noi diventa ancora più difficile accorgerci come quel vizio si riflette e condiziona il risultato finale: abbiamo sempre l’impressione che in noi tutto fili perfettamente liscio, ma non riusciamo poi a capire perché i risultati che otteniamo nelle varie competizioni non sono quelli che vogliamo! Chi è un tecnico serio in una qualunque disciplina tecnico-corporea, sa perfettamente questo. E ci rendiamo conto che, arrivati al momento critico, siamo a noi a determinare se lasciar andare l’automatismo, che però è sbagliato, o decidere di prestare quell’attenzione che ci permette di fare diversamente: forse non “azzeccheremo” subito il gesto corretto ed esatto, ma intanto si comincia a contrastare quel vizio. Ed è attraverso una consapevolezza continua e costante che ad ogni gambata, ad ogni scivolamento delle dita sui tasti, scegliamo di non fare più quel vecchio movimento ma di seguire una nuova indicazione. Cioè, lo sport e le varie discipline tecniche ci dimostrano che non è vero che i “difetti” ce li dobbiamo tenere così come sono: lavorando con un trainer capace e con un serio allenamento, attraverso la volontà e il metodo si cambia e la performance migliora… altrimenti dovremmo credere che gli atleti perdano il loro tempo quando si allenano…altrimenti dovremmo credere che non esista per loro possibilità di migliorarsi e che anche le competizioni non abbiano senso di esistere! Chi ha una passione per una qualunque disciplina, sa che non è così. Se questo suona chiaro parlando di sport, sembra più difficile vederlo applicato alla nostra intera esistenza, nella vita di tutti i giorni, incluso nel momento della malattia: la nostra volontà è quella che entra in gioco nello scegliere se continuare in quell’errore tecnico che oramai conosciamo oppure se seguire una nuova indicazione. In questo senso, l’Ontopsicologia spiega che in ultim’analisi è la volontà del paziente il fattore limitante il successo della cura, perché se la persona non sceglie con la propria volontà responsabile di cambiare quel passaggio sbagliato, la malattia persiste. Se l’atleta, una volta che sa, continua a commettere quell’errore, non potrà certo competere per le Olimpiadi. E a nulla varranno le lamentele e i ricorsi per essere stato escluso.